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36 Quai Des Orfevres


La Trama
Al 36 Quai Des Orfevres, indirizzo della sede della polizia parigina, il clima è teso: una banda di rapinatori di furgoni portavalori turba da ormai quasi diciotto mesi la tranquillità dei vertici, portando con sé un bottino di quasi due milioni di euro e un conto di ben nove agenti morti. Ai due commissari di spicco Vrinks (D. Auteuil) e Klein (G. Depardieu), il primo dai metodi spicci e spesso poco ortodossi, supportato dagli uomini e dall’amore per la moglie Camille (V. Golino) e la figlia Lola, il secondo solo e con un matrimonio in crisi, eppure appoggiato dai corridoi del potere, viene esplicitamente comunicato che il primo tra loro che riuscirà a fermare la banda dei rapinatori avrà strada libera per ricoprire la carica di capo della polizia.
Le indagini, fortemente legate ai rapporti che i due commissari hanno con i loro informatori, premiano Vrinks, che, pur macchiandosi di un reato di complicità in omicidio spinto dal galeotto Silien (R. Zem), viene a conoscenza del nascondiglio della banda, guadagnando un vantaggio considerevole sul suo collega, costretto a rimanere in appoggio nel corso del blitz decisivo. Proprio a causa di un intemperanza di Klein, però, alcuni dei componenti della banda riusciranno temporaneamente a fuggire, provocando la morte del grande amico e confidente di Vrinks Eddy Valence (D. Duval). A questo punto per il commissario la ragione primaria non è più la promozione, ormai quasi certa, ma, sempre supportato dalla fedeltà dei suoi uomini, una punizione inflitta a Klein per l’errore commesso in azione. Lo stesso Klein, risentito della battaglia contro di lui intrapresa da Vrinks, e memore di vecchie ruggini legate alla moglie di quest’ultimo, metterà in moto i meccanismi del potere e, grazie all’intervento di un altro informatore, riuscirà a ribaltare la situazione portando alla luce del sole lo scandalo dell’omicidio in cui Vrinks è coinvolto.
A nulla serviranno gli interventi a favore di compagni, moglie, amici: per capo della sezione antirapine si prospetta il carcere, complice la latitanza di Silien, esecutore materiale dell’omicidio che il poliziotto aveva permesso in cambio delle informazioni sulla banda di rapinatori.
A chiudere la drammatica vicenda, una tragedia che segnerà per sempre le vite di Vrinks, Klein e della sua più stretta collaboratrice, Eve Verhagen (C. Marchal): il primo sconterà, infine, sette anni di carcere, il secondo verrà destinato al successo e la terza, rinunciando ad ogni compromesso, sarà trasferita in un piccolo commissariato di periferia, al centro denunce.
Ma gli anni non serviranno a cancellare il rancore, poliziotti o criminali che siano: e se Titi (F. Renaud) e la stessa Verhagen sono rimasti fedeli a quelli che erano, molte cose sono cambiate per i vecchi compagni, ora nemici, Vrinks e Klein. Entrambi, di fronte a uno specchio, saranno costretti ad affrontare la verità, e, in un certo senso, il futuro.
Prima che il caso – o presunto tale – metta la parola fine a una storia che non potranno dimenticare…

  

Commento
Dai nemici mi guardi Iddio, che dagli amici mi guardo io.
Questo vecchio adagio, inquietante quanto lucidamente cinico, pare aleggiare fin dal primo minuto della pellicola di Marchal: pochi stacchi, evidente rimando a un evento che deve ancora accadere, mostrano un penitenziario, e Vrinks in lacrime, sul lettino di una cella. Difficile pensare che un agente possa finire in galera, se non sono altri suoi colleghi a volerlo.
Marchal, da ex-poliziotto, probabilmente questo lo sa bene, e presenta una pellicola – ispirata a fatti realmente accaduti in seno alla polizia parigina nel corso degli anni ’80 – dove la caccia ai criminali, e la loro cattura, è solo un pretesto per approfondire un concetto ancora poco analizzato dai film di genere, i contrasti all’interno di un dipartimento di polizia dove gli agenti, dal primo all’ultimo, spesso differiscono dai loro “avversari” soltanto per il patrocinio della legge.
Vrinks, “eroe” della pellicola, marito fedele, padre amorevole, comandante rispettato, ha modi bruschi e netti, e appare, in molti momenti, quasi più come una sorta di vigilante, pronto a sacrificare il codice e le leggi che lui stesso dovrebbe servire, o perlomeno rappresentare, in nome di quella che, a tutti gli effetti, pare essere una giustizia quasi privata.
Klein, il “nemico”, porta con sé tutti i lati oscuri delle eminenze grigie, un uomo che ammette con sincerità di “non poter vivere senza il suo lavoro” ma che, al contempo, sfrutta quello stesso lavoro per accomodare interessi e rivalità del tutto personali.
Accanto a loro, una serie di comprimari che ben rappresentano la realtà di un corpo armato: passione per le donne, le macchine, le armi, per una giustizia spesso sommaria e i “trofei di caccia”, senza dimenticare un codice d’onore – e in questo è addirittura eclatante il silenzio della Verhagen di fronte ai peccati del suo capo – davvero simile a quello presente nelle famiglie mafiose o nella manovalanza criminale. L’amicizia e la fedeltà che lega così gli agenti delle due squadre rivali, il cameratismo, le passioni, suscitano dunque un immediato paragone con i criminali che, pur rivestendo un ruolo che assomiglia molto a un pretesto per analizzare il metodo dei due protagonisti prima di liberare il loro scontro, divengono il vero specchio del mondo dei poliziotti. Difficile pensare che ci sia una differenza sostanziale fra il “rapimento” iniziale di Vrinks e compagni ai danni dell’aggressore di una prostituta amica del commissario e la vendetta degli stessi criminali nel finale, così come più vero appare il bacio fra i due componenti della banda di rapinatori prima del blitz della polizia e il rapporto ormai logoro fra Klein e sua moglie. I confini sono labili, e Marchal, con un ottima dose di coraggio porta sullo schermo due protagonisti in cui è difficile identificarsi, principalmente perché troppo veri per essere buoni.
Silien, l’informatore che darà inizio alla “guerra” fra Vrinks e Klein, omicida e soggetto pericoloso, non esita a contattare Camille, moglie del commissario, per consegnarle una lettera di ammissione e ventimila euro per il mantenimento suo e della piccola Lola durante la permanenza in carcere di Vrinks.
Klein, da par suo, pare essere indifferente al pericolo che la stessa donna da lui in passato (?) amata, possa correre di fronte a un intervento della polizia affinché lo stesso Silien venga catturato. L’umanità è relativa, dunque, e spesso legittimata da una legge che non garantisce che giustificazioni. Fa male pensare, a questo proposito, di dover quasi “parteggiare” per il giudice, certamente corrotto dalle alte sfere della polizia, nega ogni concessione a Vrinks una volta incarcerato: le motivazioni del pubblico ministero sono e saranno personali e certo sbagliate, eppure il suo discorso a proposito dei reati commessi dai poliziotti non può essere ribattuto. “Io non posso avere un trattamento come gli altri, sono un poliziotto.” – dichiara Vrinks – “Per quanto mi riguarda, da quando è complice di un omicidio lei non è più niente.” – risponde il giudice.
In un certo senso, ogni poliziotto pare esserlo. Probabilmente Marchal, seguendo un esempio simile a quello dato dalla Verhagen, ha abbandonato le forze dell’ordine perché conscio di una realtà troppo scomoda per essere ammessa.
“Quelli come lei, nel mondo del crimine, finiscono in un canale con tre pallottole in testa, Klein.” Afferma il comandante uscente della polizia.
“Quelli come me, nel mondo del crimine, hanno smesso da molto di parlare con quelli come lei”. Non poteva esserci una risposta più eloquente.
Finalmente un poliziotto che racconta “il braccio violento della legge”.

Continua

   
Gianmarco    
 
   
 
  Titolo:
36 Quai Des Orfevres

Sottotitoli:
Italiano per non udenti.

Formato:
16x9, 2.35:1.

Regia:
Olivier Marchal.

Lingue:
Italiano e Francese Dolby Digital 5.1.

Cast:
Daniel Auteuil, Gerard Depardieu, Andrè Dussolier, Roschdy Zem, Valeria Golino, Francis Renaud, Daniel Duval, Catherine Marchal.

Durata: 110'

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