|    
                                     
                                      
                                     
                                       
                                      La Trama 
                                      Dogville è una minuscola cittadina 
                                      arroccata sulle montagne rocciose, nei pressi 
                                      di Georgetown. E’ un luogo sicuro, 
                                      silenzioso, quasi dimenticato, chiuso alle 
                                      spalle dalle montagne e accessibile tramite 
                                      un'unica strada.  
                                      Un tempo, forse, grazie alla miniera d’argento, 
                                      ormai chiusa, conobbe una certa prosperità, 
                                      ma ora non è che il rifugio di una 
                                      comunità che altro non pare desiderare 
                                      se non una quieta tranquillità, almeno 
                                      apparente. Attraversata da un'unica via, 
                                      Elm Street (anche se sulle montagne rocciose 
                                      non ci sono olmi), dove le case, simili 
                                      a baracche, si affacciano timidamente, è 
                                      il mondo per tutti i suoi abitanti: Thomas 
                                      Edison senior e junior (P. Baker Hall e 
                                      P. Bettany), che abitano nella casa più 
                                      bella, il padre medico in pensione e il 
                                      figlio aspirante scrittore con ambizioni 
                                      filosofiche e morali tutte rivolte ai suoi 
                                      concittadini, Olivia con la sorella disabile 
                                      June, Chuck (S. Skarsgaard) e Vera (P. Clarkson) 
                                      – che si odiano – agricoltore 
                                      e maestra, con il loro sette figli e il 
                                      cane Mosè, Martha, che si occupa 
                                      della missione in attesa che un improbabile 
                                      nuovo pastore venga inviato a Dogville, 
                                      Mà Ginger (L. Bacall) con la sorella 
                                      Gloria (H. Andersson), proprietarie dell’emporio, 
                                      Ben il camionista, unico contatto con il 
                                      mondo esterno della cittadina, la famiglia 
                                      Hanson – padre, madre e i due figli 
                                      Bill e Lisa – e Jack McKay (B. Gazzara), 
                                      misantropo cieco che crede ancora nella 
                                      sua vista.  
                                      La vita di ognuno di loro è segnata 
                                      da ritmi e cadenze abituali, e l’unico 
                                      che pare crucciarsene è Thomas jr., 
                                      detto Tom, che spera, con una serie di riunioni 
                                      nella cappella della missione, di scuotere 
                                      gli animi e la morale dei suoi compaesani, 
                                      sollecitandoli all’accettazione dell’esterno 
                                      come lezione per imparare ad accettare loro 
                                      stessi: a rompere la monotonia e aiutare 
                                      l’immaginazione e la ricerca di Tom 
                                      giunge una notte d’estate la bella 
                                      Grace (N. Kidman), una ragazza in fuga da 
                                      una banda di spietati gangsters.  
                                      Dopo aver nascosto la ragazza nella miniera 
                                      ed aver eluso la ricerca dei suoi inseguitori, 
                                      Tom propone a Grace di intercedere per lei 
                                      e per la sua permanenza in città 
                                      presso gli altri abitanti: stimolato da 
                                      questa nuova occasione il ragazzo indice 
                                      una nuova assemblea nella missione che, 
                                      con sorpresa di Grace, la vede accettata 
                                      almeno temporaneamente, a patto che, in 
                                      due settimane “di prova”, 
                                      la giovane si dimostri utile alla comunità 
                                      e meriti, in un certo senso, il nascondiglio 
                                      offertole ricambiando il favore con i lavori 
                                      di cui “nessuno necessita veramente”. 
                                      Il periodo di prova offre a Grace la possibilità 
                                      di conoscere gli abitanti della cittadina, 
                                      che, con l’eccezione di Tom, sempre 
                                      disponibile e gentile, paiono aver bisogno 
                                      di essere conquistati, soprattutto il vecchio 
                                      McKay e Chuck, l’agricoltore, che 
                                      come la ragazza viene dalla città 
                                      e diffida di lei.  
                                      Superato, non senza difficoltà, il 
                                      suddetto periodo, e accettata nella comunità 
                                      dal voto unanime dell’ennesima assemblea, 
                                      inizia per Grace un periodo felice, simbolo 
                                      di una evidente rottura con il passato e 
                                      dell’accettazione di una realtà 
                                      che, fino a prima del suo arrivo, avrebbe 
                                      forse considerato squallida e banale, ma 
                                      che ora trova conferma in tutta l’utilità 
                                      che la ragazza comincia ad avere rispetto 
                                      ai suoi nuovi concittadini. 
                                      L’armonia fra Grace e la città 
                                      comincia a incrinarsi quando la polizia, 
                                      per la prima volta nella storia di Dogville, 
                                      percorre Elm Street per informarsi a proposito 
                                      di una fuggitiva, e, nonostante i cittadini 
                                      nascondano la ragazza senza alcuna remora, 
                                      Tom consiglia Grace di rendersi più 
                                      utile rispetto all’ora al giorno che 
                                      di norma era dedicata a ognuno dei suoi 
                                      benefattori. 
                                      Quando, ancora una volta, tutto sembra essersi 
                                      risolto per il meglio, la polizia fa il 
                                      suo ritorno in città, questa volta 
                                      portando un mandato di cattura con una taglia 
                                      cospicua, affermando che la fuggitiva è 
                                      in realtà una criminale ricercata. 
                                      A questo punto, Dogville mostra i denti: 
                                      il lavoro aumenta, e nonostante la presenza 
                                      rassicurante di Tom, attorno a Grace tutto 
                                      pare assumere un volto spietato, crudele, 
                                      sottilmente sadico, che parte dalla violenza 
                                      psicologica per sfociare nella degradazione 
                                      e nella violazione fisica. Grace è 
                                      ora, a tutti gli effetti, il giocattolo 
                                      su cui gli abitanti di Dogville sfogano 
                                      le loro ansie, paure e tumulti interiori. 
                                       
                                      Lo stesso Tom, che si dichiara innamorato 
                                      della ragazza pur continuando ad avere paura 
                                      di un contatto fisico con lei, comincia 
                                      a nutrire dubbi sul felice esito della sua 
                                      ricerca, e, parallelamente ai consigli a 
                                      Grace, da una possibile fuga fino a stentate 
                                      giustificazioni rivolte a se stesso e agli 
                                      abitanti della città, sostiene la 
                                      stessa comunità alle spalle della 
                                      ragazza e rimugina continuamente sulla possibilità 
                                      di consegnarla, per denaro, ai gangsters 
                                      che l’avevano fermato la sera dell’arrivo 
                                      di Grace lasciandogli un numero di telefono 
                                      da contattare in caso si fosse fatta viva 
                                      la loro preda.  
                                      Il fallimento della fuga, il “processo 
                                      sommario” impostole dalle donne 
                                      e la punizione, che la vede legata e incatenata 
                                      come e peggio di ogni qualsivoglia animale 
                                      da lavoro, spingono Grace nello sconforto 
                                      e nell’apatia, pur non cancellando, 
                                      dal cuore della ragazza, la speranza rappresentata 
                                      da Tom. Sarà proprio su consiglio 
                                      di Tom, invece, che verranno richiamati 
                                      i gangsters, per poter riportare Grace da 
                                      dove era fuggita e riconoscere i coraggiosi 
                                      abitanti di Dogville come veri eroi di tutta 
                                      la storia.  
                                      Eppure, proprio con l’arrivo dei malavitosi, 
                                      la realtà si scopre ben diversa da 
                                      quella che Tom per primo aveva immaginato, 
                                      e quando Grace entrerà nella macchina 
                                      da cui era fuggita, ne uscirà cambiata, 
                                      volta a una vendetta che forse vendetta 
                                      non è, che non cerca ne trova risposte, 
                                      ma che si limita a un interpretazione del 
                                      rapporto fra potere e responsabilità. 
                                      
                                      
                                      Commento 
                                      Lars Von Trier e tutti i suoi film non passano 
                                      indifferenti a nessuno: o si amano o si 
                                      odiano. 
                                      Fra i registi al momento in circolazione 
                                      credo sia in assoluto il più contestato 
                                      e “dibattuto” (se si 
                                      esclude il recente caso – più 
                                      politico – di Michael Moore), e non 
                                      c’è un suo lavoro che non nutra 
                                      ammiratori “hardcore” 
                                      in equal numero rispetto ai detrattori più 
                                      determinati. Premiato a Cannes, mal sopportato 
                                      in America, una partenza tutta dedicata 
                                      alla tecnica e alla sperimentazione che 
                                      arriva al “Dogma” e alla 
                                      negazione più categorica di tutto 
                                      quello che è “superfluo” 
                                      nella realizzazione di un film. Tutto o 
                                      niente. Effettivamente, non mi era mai capitato 
                                      di trovare un regista di cui ammirare straordinariamente 
                                      alcuni lavori e, allo stesso tempo, mal 
                                      sopportarne altri: ho apprezzato The Kingdom, 
                                      ammirato Le onde del destino, odiato profondamente 
                                      Dancer in the dark per giungere infine a 
                                      Dogville, non senza riserve. E, una volta 
                                      ancora, Von Trier mi ha stupito. 
                                      In sei settimane, chiuso con i tecnici e 
                                      i sedici attori del cast in un isolato capannone 
                                      in Svezia, unico set della pellicola (anche 
                                      se sarebbe quasi meglio dire “non-set”), 
                                      il regista danese ha compiuto forse quello 
                                      che, almeno fino ad ora, si può definire 
                                      il suo capolavoro, o perlomeno il film che 
                                      più rappresenta la ricerca iniziata 
                                      proprio con il famoso proclama del “Dogma”, 
                                      nonché, sicuramente, una delle pellicole 
                                      più valide uscite negli ultimi cinque 
                                      anni.  
                                      Dogville, una cittadina isolata nel cuore 
                                      delle Montagne Rocciose, assume, osservando 
                                      attentamente i personaggi e la loro evoluzione, 
                                      così come il loro rapporto con Grace, 
                                      una valenza quasi universale, perlomeno 
                                      se si pensa alla cultura e al mondo occidentali: 
                                      pescando dal teatro (e lo stesso regista 
                                      cita innanzitutto Brecht), dalla letteratura 
                                      (evidenti le influenze di Dostoevskij) e 
                                      dal cinema (riconosciuto l’omaggio, 
                                      soprattutto per quanto riguarda la voce 
                                      narrante, quasi una “coscienza”, 
                                      e la suddivisione in capitoli, al Barry 
                                      Lyndon di Kubrick) il danese confeziona 
                                      un opera spietata, chirurgica, quasi “documentaristica”, 
                                      eppure sentita ed emozionante, che mi riporta 
                                      alla mente la ferrea disciplina del cinema 
                                      danese (soprattutto Dreyer, almeno per quanto 
                                      riguarda il rigore) e austriaco (guardando 
                                      a “La pianista” di Haneke) ma 
                                      anche la “passione controllata”, 
                                      appunto, di Kubrick.  
                                      E di nuovo paiono mescolarsi le cose: un 
                                      cast quasi interamente americano, ottimamente 
                                      diretto seppure portato “ai limiti” 
                                      (e anche qui un punto in comune con il regista 
                                      di “Barry Lyndon”), e un occhio 
                                      senz’altro europeo, filtrato attraverso 
                                      le regole del “Dogma”: camera 
                                      a spalla, un unico operatore (lo stesso 
                                      regista), quasi totale assenza di scenografie 
                                      ed effetti speciali.  
                                      Tutto, a detta di Von Trier, per mettere 
                                      in condizione lo spettatore di immaginare 
                                      Dogville come un ideale paese di montagna, 
                                      ma anche con il proprio quartiere, palazzo, 
                                      mondo. Nella pigrizia forzata di Thomas 
                                      senior, nella voglia di rivalsa di Olivia, 
                                      serva per tutta la vita in casa d’altri 
                                      e sua (specie rispetto alla sorella June), 
                                      nelle frustrazioni di Chuck (un ottimo Skarsgaard, 
                                      attore “feticcio” di Von Trier) 
                                      e Vera e nella cattiveria quasi atavica 
                                      del figlio Giasone, nell’invidia di 
                                      Martha, nella freddezza di Mà Ginger 
                                      (una sempre grande Bacall) e Gloria, nelle 
                                      bassezze di Ben e della famiglia Hanson, 
                                      così come di Jack McKay (l’immortale 
                                      Ben Gazzara) ma soprattutto nell’ambiguo 
                                      e serpeggiante Tom (bravo Paul Bettany), 
                                      abile, come gran parte degli uomini, a mascherare 
                                      meschinità con dolcezza, si materializza, 
                                      agli occhi dello spettatore, qualcosa di 
                                      così simile al vero da far pensare 
                                      che forse, in tutta questa “normalità”, 
                                      nella routine di Dogville, e del mondo, 
                                      non ci sia spazio, per quante illusioni 
                                      il cuore possa darci, per un essere “inventato” 
                                      come Grace – “grazia” 
                                      non a caso - , forse, almeno fino a venti 
                                      minuti dalla fine, il vero elemento “filmico” 
                                      in quella che pare, a tratti, un impietosa 
                                      istantanea delle bassezze umane.  
                                      Bassezze, del resto, fatte di piccoli gesti 
                                      e soprusi, esercitate con il piccolo potere 
                                      di persone che non conoscono il potere, 
                                      ma darebbero loro stessi per averlo, e che 
                                      pare materializzarsi negli occhi incerti 
                                      di Tom, nella fisicità violenta di 
                                      Chuck e laida di McKay e Ben, nell’invidia 
                                      di Vera, Martha e Lisa, nei ricatti di Giasone. 
                                       
                                      Bassezze che si completano e prendono forma 
                                      nella catena a cui è legata Grace 
                                      dopo il tentativo di fuga.  
                                      Come più volte traspare nel corso 
                                      della storia, gli abitanti di Dogville, 
                                      felici della loro tranquillità eppure 
                                      invidiosi del rinnovamento portato (pur 
                                      al loro servizio) da Grace, sono come combattuti 
                                      – sensazione visibile soprattutto 
                                      in ogni gesto di Tom – fra l’agire 
                                      e il desistere, partire e restare: all’inizio 
                                      del capitolo introduttivo, la voce narrante 
                                      ci informa che Tom, scrittore, non ha fatto 
                                      altro che porre due parole, negli anni, 
                                      sulla carta, senza mai decidersi a continuare 
                                      quello che aveva iniziato. Allo stesso modo 
                                      conserva il biglietto con il numero di telefono 
                                      del boss alla ricerca di Grace, e fino alla 
                                      fine appare combattuto fra l’amore 
                                      per la ragazza (o dalla sensazione provata 
                                      di fronte all’idea dell’essere 
                                      amato?) e l’affermazione rispetto 
                                      i suoi concittadini. Agire o osservare, 
                                      la paura del potere e l’ansia di esercitarlo. 
                                      Non è un caso, a mio parere, che 
                                      l’unico fra i personaggi a venire 
                                      dalla città, l’abbia abbandonata 
                                      per oscure motivazioni, forse la paura delle 
                                      responsabilità che il potere costa, 
                                      e che gli abitanti di Dogville paiono non 
                                      vedere (il cieco McKay?) o non volere (il 
                                      sempre presente, mellifluo Tom).  
                                      Ci sarebbe tanto da dire, su quello che 
                                      nasconde ognuno dei personaggi, o che si 
                                      pensa possa nascondere, ma credo che, come 
                                      la voce narrante chiaramente ricorda al 
                                      termine della pellicola, “Le risposte 
                                      certo non verranno fornite qui”, 
                                      e che l’arrivo dei gangsters e il 
                                      conseguente confronto con Grace, che culmina 
                                      di fatto con quello che, a mio parere, è 
                                      il momento più alto del film, spazza 
                                      via senza pietà, altrettanto forte 
                                      e “fisico” quanto il 
                                      peso che nel corso del gelido inverno della 
                                      cittadina, la ragazza ha dovuto trascinare 
                                      dietro di sé al ritmo di una campanella 
                                      che ricorda tanto quelle del bestiame.  
                                      Lars Von Trier o si ama, o si odia, così 
                                      come tutti i suoi film. Entrate in Dogville, 
                                      camminate in Elm Street, dove non ci sono 
                                      mai stati olmi, e guardatevi attorno, vedrete 
                                      il lato peggiore dell’ America e del 
                                      mondo (emblematica anche la sequenza dei 
                                      titoli di coda, dove foto d’epoca 
                                      alla ricerca della povertà “fisica” 
                                      sulle note del Bowie di “Young 
                                      Americans” paiono fare da contraltare 
                                      a tutta la poverta d’animo vista nelle 
                                      quasi tre ore precedenti): quello che vuole 
                                      il potere. E quando, infine, il confronto 
                                      è con chi il potere ce l’ha, 
                                      forse non si sa più da che parte 
                                      girarsi, se non pensare che forse, il nome 
                                      è più universale di quanto 
                                      ogni discorso, storia o personaggio possano 
                                      essere.  
                                      Il danese osserva, soffre e punisce: ma 
                                      dove sta l’arroganza? Nel perdono 
                                      o nel castigo? 
                                      “Questo glielo devo” 
                                      – dice Grace – “Voglio 
                                      rendere il mondo un tantino migliore”. 
                                      Non so quanto ci sia di Von Trier nella 
                                      sua “eroina”, ma certo, 
                                      a suo modo di vedere, Dogville lo doveva 
                                      a tutti noi. Non renderà certo il 
                                      mondo migliore, e molti di quelli che vi 
                                      si avventureranno – o vi si sono avventurati 
                                      – certamente arriveranno quasi ad 
                                      odiarlo.  
                                      Ma per la sua arroganza o per le verità 
                                      che mostra? Dogville siamo noi. 
                                      Per questo, da una parte o dall’altra, 
                                      nessuno può restare indifferente. 
                                    Continua 
                                        
                                       
                                     
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