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                                      La Trama 
                                      Nel pieno delle guerre napoleoniche, lontani 
                                      dai campi di battaglia dell’Europa, 
                                      al largo delle coste brasiliane, francesi 
                                      e britannici si scontrano per il dominio 
                                      delle rotte commerciali: il capitano Jack 
                                      “Lucky” Aubrey (Russell 
                                      Crowe), al comando dell’H.M.S.  
                                      Surprise riceve l’ordine di catturare 
                                      l’Acheron, fregata francese di stazza 
                                      superiore. Colto alla sprovvista da un primo, 
                                      fulmineo attacco a sorpresa dei napoleonici, 
                                      sconfitto e salvo a stento, Aubrey si trova 
                                      di fronte alla difficile decisione di dover 
                                      tornare al primo porto amico lasciando via 
                                      libera all’Acheron o rischiare nave 
                                      ed equipaggio, già fortemente provati 
                                      dal primo attacco, in un inseguimento volto 
                                      al completamento della missione.  
                                      Lo spiccato senso del dovere porta il capitano 
                                      a scegliere la via più difficile, 
                                      imbarcando così l’intero equipaggio 
                                      della Surprise in un inseguimento drammatico 
                                      lungo tutta la costa del continente, per 
                                      giungere fra i ghiacci del Polo Sud e doppiare 
                                      Capo Horn prima di risalire verso le Galapagos. 
                                      Alle prese con il serpeggiante malcontento 
                                      della ciurma, chiusa attorno a superstizioni 
                                      marinaresche, e con una grave ferita occorsa 
                                      all’amico e medico di bordo Steven 
                                      Maturin (Paul Bettany) che costringe la 
                                      Surprise a una sosta forzata proprio alle 
                                      Galapagos, Aubrey scoprirà il vero 
                                      scopo dell’Acheron – assalire 
                                      tutte le baleniere inglesi di passaggio 
                                      in quelle rotte- e, grazie a una scoperta 
                                      casuale, proprio quando ogni speranza di 
                                      riacciuffare il nemico si accinge a spegnersi, 
                                      avrà l’occasione di un confronto 
                                      risolutivo con la temibile avversaria.  
                                      Sarà allora che ogni nube raccoltasi 
                                      attorno alla Surprise lascerà spazio 
                                      a un rinnovato legame fra le anime che la 
                                      popolano. 
                                      
                                      
                                      Commento 
                                      Devo confessare, in tutta onestà, 
                                      di aver sempre amato il mare, e, contro 
                                      ogni “astronautistico” sogno 
                                      di bambino, i vecchi velieri mi hanno da 
                                      sempre attirato più di aerei e navi 
                                      spaziali.  
                                      Eppure, due cose mi frenarono all’uscita 
                                      nelle sale di questo film: Peter Weir, regista 
                                      molto tecnico ma che, con l’esclusione 
                                      de “Gli anni spezzati” 
                                      non ho mai particolarmente incensato e Russell 
                                      Crowe, ancora “segnato” 
                                      ai miei occhi di spettatore dalla retorica 
                                      e piatta interpretazione del suo Fabio Massimo 
                                      del “Gladiatore”.  
                                      Insieme questi due fattori mi avevano spinto 
                                      a evitare “Master and Commander” 
                                      intimorito dall’ennesimo possibile 
                                      polpettone simil-epico. 
                                      Quando, quasi per caso, ho deciso di noleggiarlo, 
                                      tutto, dall’inizio alla fine, è 
                                      stato una piacevole rivelazione: regia, 
                                      cast, ricostruzione storica, ritmo e confezione. 
                                       
                                      Quando, sulla prima ripresa aerea dell’H.M.S. 
                                      Surprise che naviga fra le acque quiete 
                                      dell’Atlantico, compare, come unica 
                                      introduzione alla pellicola il nome della 
                                      nave, accompagnato dal numero dei cannoni 
                                      e delle “anime” presenti 
                                      a bordo, è come se già, in 
                                      un qualche modo, ci si fosse imbarcati in 
                                      una serrata e incredibile avventura d’altri 
                                      tempi.  
                                      Penso che Weir, da amante della collana 
                                      di libri dedicati al capitano Jack “Lucky” 
                                      Aubrey, si sia dedicato anima e corpo alla 
                                      resa storica perfetta del suo lavoro, contaminando 
                                      la pellicola di numerose citazioni marinaresche 
                                      e letterarie nella migliore tradizione ottocentesca, 
                                      in linea con il periodo storico in cui è 
                                      inserita la vicenda: dalle dicerie superstiziose 
                                      che culminano con l’individuazione 
                                      dello “Jona” della Surprise 
                                      alle citazioni indirette (e neanche troppo) 
                                      della “Ballata del vecchio marinaio” 
                                      di Coleridge e dell’ “Albatro” 
                                      di Baudelaire. 
                                      Il diciannovesimo secolo pare essere, infatti, 
                                      più che una cornice storica, per 
                                      questo film, quasi, al contrario, una riflessione 
                                      e un confronto fra una posizione più 
                                      esplicitamente “eroico-romantica” 
                                      – incarnata alla perfezione dal Capitano 
                                      Aubrey (un ottimo Crowe) e una di matrice 
                                      illuministica eppure già contaminata 
                                      dai semi di quello che sarà lo scheletro 
                                      del naturalismo romantico prima, e dell’evoluzionismo 
                                      darwiniano poi – e qui ci si concentra 
                                      sulla figura del medico Maturin (bravissimo, 
                                      come sempre, Paul Bettany)-.  
                                      Due amici, a volte fratelli, a volte rivali: 
                                      litigi, duetti musicali, discussioni sulla 
                                      natura e sul modo di guardarla, fra senso 
                                      del dovere e voglia di nuove scoperte. Come 
                                      se le due posizioni cercassero, per l’intera 
                                      durata della pellicola, in un continuo alternarsi 
                                      di incontri e scontri, qualcosa che possa 
                                      unirle, o dividerle per sempre.  
                                      Aubrey, come un Achab “buono”, 
                                      spinto dagli ordini dei suoi superiori e 
                                      da un malcelato desiderio di rivalsa, si 
                                      getta a capofitto nell’inseguimento 
                                      dell’Acheron, una nave che assume 
                                      quasi l’aura di un fantasma, di un 
                                      sogno, di qualcosa che arriva con la nebbia 
                                      e scompare al primo accenno di vento: solo 
                                      con il ferimento dell’amico farà 
                                      (o sarà costretto?) a operare una 
                                      scelta diversa. 
                                      Di contro, Steven Maturin, a mio parere 
                                      controparte di Weir all’interno della 
                                      pellicola, assume il ruolo di “maestro” 
                                      rispetto l’intera ciurma, probabilmente 
                                      conscio delle sue superiori capacità 
                                      e conoscenze, cercando, spesso attraverso 
                                      la curiosità, di portare a più 
                                      ragionevoli modi d’intendere gli uomini 
                                      della Surprise, Aubrey compreso. Anche lui, 
                                      come “Lucky”, di fronte 
                                      a un momento drammatico come l’ultima 
                                      battaglia contro la Acheron, accantonerà 
                                      i suoi propositi di uomo di scienza per 
                                      combattere accanto ai marinai della Surprise. 
                                       
                                      Ecco quindi tornare l’inseguirsi delle 
                                      due posizioni, che cercano una vittoria 
                                      da strade diverse e che, in un certo senso, 
                                      alla fine non arriderà a nessuno: 
                                      il Capitano Aubrey si troverà di 
                                      nuovo ad inseguire, e il buon Maturin dovrà 
                                      per l’ennesima volta abbandonare le 
                                      sue ricerche per ordine dell’amico 
                                      comandante.  
                                      Eppure questi tratti di “formazione” 
                                      e conflitti sono presenti allo stesso modo 
                                      e con la stessa importanza anche sulla quasi 
                                      totalità dei comprimari:  
                                      a questo proposito sottolineo le due figure 
                                      del giovanissimo aiutante di Maturin, un 
                                      allievo ufficiale rimasto menomato nel corso 
                                      della prima battaglia con la Acheron, e 
                                      dell’aiuto nocchiere Hollom (la vera 
                                      sorpresa Lee Ingleby), bersagliato dai marinai 
                                      a causa della mancanza di carattere e associato 
                                      alla figura del “Jona”, 
                                      che, a bordo di una nave, causa sciagure 
                                      a tutti i membri dell’equipaggio. 
                                       
                                      Proprio a loro sono legate due fra le sequenze 
                                      più intense e interessanti della 
                                      pellicola: splendido il dibattito sul naturalismo 
                                      e il rapporto quasi paterno fra Maturin 
                                      e il suo giovane amico, combattuto a sua 
                                      volta dall’istinto del marinaio, sogno 
                                      stroncato dalla menomazione, e dalle nuove 
                                      scoperte scientifiche che sbocciano proprio 
                                      nel loro peregrinare nelle isole Galapagos 
                                      durante la convalescenza dello stesso Maturin. 
                                       
                                      Toccante e amara, invece, la tragedia personale 
                                      di Hollom, ufficiale quasi per forza, e 
                                      vittima sacrificale scelta dall’ignoranza 
                                      dei membri più impulsivi della ciurma. 
                                       
                                      Un umanità varia e densa, proprio 
                                      come il mare.  
                                      E pare proprio che ognuno di questi personaggi 
                                      sia nato e possa vivere solo fra le onde. 
                                      
                                     
                                        
                                      La Tecnica 
                                      Come ogni prodotto high-budget, il film 
                                      si presenta molto bene, curato in ogni dettaglio, 
                                      orchestrato da un bravo regista e supportato 
                                      da un ottimo cast, una bellissima fotografia 
                                      (Russell Boyd è stato premiato con 
                                      l’Oscar) e frenetici, tesi montaggi 
                                      nelle caotiche scene di battaglia, alternati 
                                      a lente carrellate, panoramiche naturali 
                                      e particolari scenografici nei momenti di 
                                      “ricerca”.  
                                      Girato principalmente su due modelli della 
                                      “Surprise” – uno 
                                      derivato da una vera fregata ottocentesca 
                                      acquistata prima dell’inizio delle 
                                      riprese dalla produzione e uno costruito 
                                      appositamente per le scene “controllate” 
                                      – distanti 45 chilometri l’uno 
                                      dall’altro, e supportato per gli effetti 
                                      speciali dalla neozelandese Weta Company 
                                      – già protagonista con la pluripremiata 
                                      trilogia del Signore degli Anelli - il film 
                                      non presenta particolari difetti formali, 
                                      considerando il buon ritmo e la straordinaria 
                                      ricerca storica effettuata sotto la supervisione 
                                      dello stesso Weir.  
                                      Dovendo scegliere una parte “debole”, 
                                      probabilmente propenderei per il difficoltoso 
                                      doppiaggio di Capo Horn, che appare quasi 
                                      “frettoloso”, e certamente 
                                      non temibile o minaccioso come avrebbe potuto 
                                      essere.  
                                      In difesa del prodotto finito, resta però 
                                      da dire che, probabilmente, con un budget 
                                      più alto o una scelta di realismo 
                                      assoluto –anche se quasi impossibile 
                                      da applicare – Weir avrebbe senz’altro 
                                      saputo confezionare un grande passaggio. 
                                       
                                      Il film è stato girato principalmente 
                                      a cavallo fra Messico, Brasile e Parco Nazionale 
                                      delle Galapagos. 
                                      
                                     
                                        
                                      Contenuti Extra 
                                      La sezione dedicata agli extra appare completa 
                                      e molto interessante: si comincia con i 
                                      due documentari “I cento giorni” 
                                      – incentrato sulle riprese e sull’aspetto 
                                      realizzativo della pellicola – e “Sulla 
                                      scia di O’Brian” – 
                                      dove Peter Weir racconta il suo rapporto 
                                      con i romanzi incentrati sulla figura del 
                                      capitano Aubrey e sulle ricerche effettuate 
                                      per la realizzazione del film – prima 
                                      di passare al “Dietro le quinte” 
                                      e alle scene eliminate, passaggi effettivamente 
                                      ridondanti per il “final cut” 
                                      ma utili approfondimenti specie in riferimento 
                                      alla vita di bordo della nave, dalla sala 
                                      degli ufficiali fino agli stretti alloggi 
                                      dei marinai (le amache dove riposavano erano 
                                      distanti l’una dall’altra solo 
                                      35 centimetri, e continuamente in movimento 
                                      con l’oscillazione della nave). 
                                      La sezione che ho trovato più interessante, 
                                      comunque, resta quella dedicata alle riprese 
                                      con più cineprese, che dimostra l’estrema 
                                      cura portata dal regista alla pellicola 
                                      e consente, con l’interessante opzione 
                                      dello schermo separato, di osservare i passaggi 
                                      delle scene più importanti della 
                                      battaglia finale attraverso “gli 
                                      occhi” di cinque telecamere differenti. 
                                       
                                      Chiude la sezione la consueta galleria d’immagini. 
                                       
                                        
                                      Commento Finale 
                                      Concludendo, non posso che riservare un 
                                      giudizio positivo per questa pellicola: 
                                      certo, non si sta parlando di un capolavoro, 
                                      i dialoghi troppo tecnici a tratti rischiano 
                                      di far perdere l’attenzione e sono 
                                      presenti alcune piccole forzature, ma in 
                                      un orizzonte di Matrix e improbabili re 
                                      Artù, è bello vedere un film 
                                      d’avventura ben costruito, girato 
                                      con rispetto dei personaggi e intelligenza, 
                                      pregno di citazioni e assoluta fedeltà 
                                      storica.  
                                      Bravo Weir, che dimostra una volta di più 
                                      come un buon film di un bravo regista sia 
                                      sempre meglio del miglior film di un regista 
                                      mediocre.  
                                       
                                     
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