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Mystic River


La Trama
Boston, Massachussets. Jimmy, Dave e Sean, undici anni, sono tre amici che vivono nel quartiere “operaio” della città, giocando per le sue strade e mostrando già i primi segni della loro formazione caratteriale: un pomeriggio di quel grigio che minaccia la pioggia, mentre sono intenti a marcare il loro nome nel cemento fresco di un marciapiedi, vengono sorpresi da due uomini che si qualificano come poliziotti, intimorendoli e ordinando a Dave, il più timido e il più lontano da casa, di seguirli alla loro macchina.
Sean e Jimmy restano in strada, dubbiosi, con la paura che non sia tutto finito con lo sguardo di Dave che li scruta dal lunotto posteriore della vettura che si allontana.
Avvertono i loro genitori, segue una caccia all’uomo di quattro interminabili giorni.
Dave, nel frattempo, è segregato in uno scantinato dove i due “poliziotti” abusano di lui “togliendosi ogni voglia”.
Il bambino riuscirà a fuggire, ma la sua vita, come quelle dei suoi due non più inseparabili amici, non sarà più le stessa.
Passano venticinque anni, ma Boston, il fiume “Mystic” e il vecchio quartiere non sembrano così cambiati, al contrario dei tre bambini che condividevano i giochi in quelle strade: Dave (T. Robbins), che non ha mai superato completamente il suo trauma, è semidisoccupato, ma felicemente sposato con Celeste (M. Gay Haden), ha un figlio a cui cerca di insegnare il baseball e che riporta alla sua mente i successi sportivi avuti da adolescente; Sean (K. Bacon) è diventato un poliziotto della squadra omicidi, vive lontano dal suo vecchio vicinato e passa attraverso la vita, nonostante sia spronato continuamente dal collega White (L. Fishburne), nella speranza che sua moglie, incinta e scappata da lui, possa un giorno tornare; Jimmy (S. Penn) ha avuto una vita intensa e contrastata: padre a diciott’anni, due anni di galera per rapina, la moglie morta di cancro, la rinuncia a guidare la banda dei fratelli Savage – “picchiatori” del quartiere – per crescere la primogenita Kate e poi il secondo matrimonio con la decisa Annabeth (L. Linney), due figlie e la gestione di un negozio.
Perché le loro strade tornino a convergere dopo tanto tempo è necessario, però, un altro evento traumatico: il giorno della Comunione della prima figlia di Jimmy e Annabeth viene infatti ritrovata morta Kate, che all’insaputa del padre avrebbe dovuto lasciare la città per sposarsi in segreto a Las Vegas. L’indagine è affidata proprio a Sean, che ha anche l’arduo compito di riuscire, nel contempo, a frenare il grande desiderio di vendetta di Jimmy, che piano piano, trascinato da Annabeth e dalla presenza dei Savage, pare passo passo tornare al suo vecchio ruolo di “boss” del quartiere.
A complicare le cose, i due principali sospettati: il ragazzo di Kate, figlio di un piccolo rapinatore che anni prima portò Jimmy in galera con la sua confessione, e Dave stesso, tornato a casa nella notte dell’omicidio della ragazza coperto di sangue e ferito, che si nasconde dietro bugie stentate e una sorta di atavico timore della verità dei fatti che lo hanno coinvolto.
Le due indagini parallele, della polizia e degli uomini di Jimmy, si sfiorano più volte senza mai convergere, quasi fossero parallele legate a segreti che ogni personaggio cela e a peccati che, in passato, sono rimasti sepolti e affidati al silenzio del “Mystic”: Sean e il collega White, disorientati eppure decisi a trovare un volto all’assassino della ragazza, passano al setaccio le vite di Jimmy e Dave, che si specchiano, dal canto loro, nel carattere opposto delle loro compagne, che paiono, più o meno volontariamente, spingerli verso un confronto che possa, una volta per tutte, chiarire quello che pare essere rimasto nascosto per troppo tempo.
Quando, nella drammatica notte della risoluzione, i nodi si scioglieranno, nessuno, fra i personaggi, riuscirà a tornare quello che era, a non farsi segnare: e nella strada dove ancora si intravedono le firme lasciate così tanto tempo prima, Jimmy e Sean vedranno allontanarsi di nuovo la macchina che portò via Dave non solo a loro, né per quattro giorni…
Ma per tutta una vita.

Commento
“La mia prima moglie, Marita, era una donna bellissima, regale, non permetteva a nessuno di avvicinarsi a lei… E io, a soli diciott’anni, l’avevo messa incinta… Se fossi salito io, su quella macchina, sarei stato distrutto a tal punto da non riuscire a corteggiarla, così Kate non sarebbe nata, e ora non sarebbe morta…”
Le parole di Jimmy al vecchio amico Sean dopo il riconoscimento del cadavere della figlia sono come un macigno, un eredità troppo grande per tre bambini che, pur in modo diverso, sono stati colpiti a fondo da una tragedia che segna le loro vite e le loro morti, reali o figurate che siano: Jimmy, “il duro del gruppo” come definito da uno dei due pedofili, prenderà la strada forse più facile, e tutta la sua decisione, la sua forza, il suo coraggio saranno al servizio di una giustizia creata ed esercitata a seconda del proprio codice d’onore, e di una famiglia che, rappresentata da Annabeth, può diventare, nella sua stabilità, simbolo di un legame quasi malvagio, disturbante; Sean, forse per confutare quello stesso traumatico ricordo, segue invece la strada tracciata dalla legge, accorgendosi, strada facendo, suo malgrado, che non è un principio a regolare le scelte, o le decisioni, ma il nostro benessere, e che il compromesso arriva più facilmente se il cuore è sereno; Dave, la vittima, l’anello debole, “il bambino che fugge dai lupi”, pare essere entrato in un circolo che niente potrà mai cambiare: sempre in fuga, da se stesso, dal ricordo, dalla famiglia e da tutti i lupi che tanto male gli hanno fatto, e gli fanno, con la paura di diventare lupo lui stesso.
Sul cemento, la firma di Jimmy è lineare e decisa, quella di Sean grande ma leggermente sformata, mentre Dave resta solo a metà, interrotto dall’arrivo dei suoi futuri aguzzini.
E’ tutto quanto lì, su quella strada, in quel quartiere. “E’ come per i vampiri” – dice Dave, disperato, a sua moglie Celeste – “Quando ti entra dentro, ci resta”.
Non si scappa dalla propria eredità, che ci ha affidato il destino o che abbiamo costruito noi stessi, né dai peccati, o dalla nostra coscienza.
Non ci sono risposte se non quelle che noi interpretiamo, e che sia chiaro e in conto che possano non essere quelle giuste.
Ammesso che risposte giuste esistano.
Clint Eastwood, a più di dieci anni dal capolavoro “Gli spietati” confeziona uno dei suoi classici riportando a galla temi che sicuramente gli sono cari come il conflitto fra giustizia “pubblica” e “privata”, le colpe e i peccati, indotti o generati, dal cuore umano: prendendo spunto da un dramma “di quartiere” che ricorda, pur se lontano nell’approccio, i disperati ritratti della New York scorsesiana e di Spike Lee, il vecchio regista lancia un cast straordinario (premiati con l’oscar Sean Penn e Tim Robbins) attraverso un dramma che non lascia posto ad alcuna redenzione, e che, componente “gialla” e risoluzione a parte, prende forma così vero e deciso da fare quasi dimenticare che quelli che si stanno osservando sono solo personaggi.
E’ difficile riuscire a “chiudere” in poche righe la vasta gamma di emozioni che ognuno dei protagonisti (ma non solo) riesce a suscitare nello spettatore nel corso di queste tiratissime due ore: dalla rabbia malcelata di Jimmy, un uomo forse nobile, forse squallido, forte eppure sconfitto, al malessere di Sean, che pare essere un tentativo fallito di fuga dal vecchio quartiere, fino alle profonde ferite interiori di Dave, non si arriva mai a dare fiducia completa a una figura di riferimento.
Gli stessi “comprimari” (ma come giustamente afferma Eastwood in una delle interviste, “è stato interessante lavorare su materiale così buono da poter offrire a ogni personaggio la sua scena madre, quasi tutti fossero protagonisti, Boston stessa compresa”) appaiono confusi, smarriti, a volte bianchi, a volte neri (sarà un caso che il compagno d’indagini di Sean, il sergente “White”, sia interpretato da Fishburne?), incapaci di essere un riferimento assoluto, o un modello, molto più conformi alla realtà di quanto mai un personaggio potrebbe essere: chi non reagirebbe come il giovane Brendan alla morte della ragazza che si ama?
Chi non nutrirebbe i dubbi – spesso quasi illazioni – del sergente “White” in una situazione oscura e confusa come quella del caso affrontato in seguito alla morte di Kate?
Chi non dubiterebbe di un marito che nasconde anche la propria sofferenza, ma che non riesce a non celare l’instabilità?
Ancora una volta Eastwood raccoglie la sfida di una vicenda tragica, grigia e piena di ombre trasformandola in un dramma di strada filtrato con grande maturità e intelligenza: si osservino con attenzione i venti minuti di chiusura del film, pensando a un attore che, raccolta l’eredità di grandi maestri come Siegel e Leone, supera i suoi predecessori e, nonostante i più di settant’anni d’età, continua a sfornare prodotti figli di un epoca senz’altro lontana dalla sua, ma che pare non avere alcun problema a capire, analizzare, raccontare.
I conflitti sono certo presenti anche in lui, e le posizioni espresse non sempre condivisibili, così come la riuscita della pellicola è certo anche merito delle grandi collaborazioni (dal fedele montatore Cox, all’ottima sceneggiatura di Helgeland fino alle strepitose prove d’attore di Penn e Robbins sugli altri), ma senz’altro, ritrovandomi di fronte a un lavoro come “Mystic River”, posso ritenere Eastwood uno dei migliori eredi del grande cinema statunitense, figlio di quei John Ford e Don Siegel che hanno fatto la storia, e attualmente, senza dubbio, insieme al già citato Scorsese e a Terrence Malick, uno degli interpreti migliori della cultura americana contemporanea.

Continua

   
Gianmarco    
 
   
 
  Titolo:
Mystic River

Sottotitoli:
Italiano, Inglese, Italiano per non udenti, Inglese per non udenti.

Formato:
Anamorfico 1.85:1.

Regia:
Clint Eastwood.

Lingue:
Italiano 5.1, Inglese 5.1.

Cast:
Sean Penn, Tim Robbins, Kevin Bacon, Laurence Fishburne, Marcia Gay Haden, Laura Linney Montaggio: Joel Cox.

Durata: 132''

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