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L'ODIO


La Trama
Periferia di Parigi, anni ’90: in uno dei tanti quartieri popolari dominati da realtà sociali “borderline” è l’indomani di una notte di violenti scontri fra giovani locali raggruppati in bande e polizia. All’origine della guerriglia urbana scatenatasi, il pestaggio, da parte degli agenti, di Abdel, un ragazzo del quartiere, durante un semplice controllo.
Viviamo le venti ore appena successive agli scontri attraverso la quotidianità, i gesti e le parole di tre amici: Vinz (V. Cassel), nervoso e immaturo, bianco di origine ebrea che vive con madre, nonna e sorella, Hubert (H. Koundè), di etnia africana, più istruito e riflessivo, ex (?) delinquente rispettato da tutti e pugile dilettante, che ha appena perduto la palestra faticosamente allestita, incendiata durante gli scontri, e Said (S. Taghmaoui), magrebino, confusionario e “indeciso”, fratello minore di uno dei boss del quartiere, ancora preso dalla voglia di affermazione, facilmente vinta dal suo stesso legame con i due “compagni”.
I tre ragazzi, uniti da una profonda amicizia, spesso in conflitto tra loro, pronti a difendersi come a lasciarsi da un momento all’altro, attraversano un mondo che lascia ben poco, alle loro aspirazioni di giovani, fatto di fumo, pistole rubate, una realtà soprattutto sociale che non lascia spazio a nulla che non sia uno scontro, sia esso con la dimensione adulta, il quartiere o la polizia.
Così la visita ad Adbel in ospedale, le chiacchiere per le strade così desolatamente familiari, i litigi, la “notte brava” per le strade del centro di Parigi, che pare così lontano da poterlo solo sognare, rimanendo straniti dalle sue diversità, diventano un modo per confrontarsi con qualcosa che ancora nessuno dei tre conosce a fondo, portando in ognuno il seme di un cambiamento che, per una volta, sembra poter essere decisivo per il futuro.
Eppure, proprio quando l’alba di un nuovo giorno pare giunta a portare nuova linfa alle vite dei tre ragazzi, torna l’odio a chiamare altro odio, e quando una delle due parti è finalmente tranquilla, come per un sadico scherzo dello stesso destino, è sempre l’altra ad attaccare: cosa sarà, infine, delle vite di Vinz, Hubert e Said?

 

Commento

-“La conosci la storia di quell’uomo che precipita da un palazzo di cinquanta piani, e a ogni piano si ripete: fin qui tutto bene, fin qui tutto bene, fin qui tutto bene…
… Il problema non sta nella caduta, ma nell’atterraggio.
”-

Con questo detto si apre e si chiude una delle produzioni “indipendenti” più intelligenti e, senza dubbio, di culto degli anni ’90, alba di una nuova ribalta per il cinema francese di denuncia, tornato a farsi sentire di pari passo rispetto alla musica (Les Negresses Vertes, Asian Dub Fondation) nei primi anni del decennio scorso, e, al contempo, spalancando le porte del successo a un talentuoso giovane cineasta e attore, Mathieu Kassovitz (che, purtroppo, dopo l’ottima prova di questa pellicola, si è spesso perso in grandi produzioni mai all’altezza della sua prima, vera opera “completa” – si vedano, a tal proposito, I fiumi di porpora, Assassins e Gothika - ) e a Vincent Cassel, che, probabilmente, negli anni è stato purtroppo riconosciuto più per il suo matrimonio con Monica Bellucci che per le sue pur buone prove di attore (soprattutto in questa pellicola e in “Sulle mie labbra”, anche se personalmente lo attendo per l’intepretazione del fumettistico Tenente Blueberry, personaggio cardine nel panorama delle “nuvolette” francesi, la cui uscita nelle sale pare prevista per la prossima primavera).
L’Odio ha sicuramente rappresentato – e, osservando bene, rappresenta tutt’ora – una decisa scossa alla cinematografia giovane del periodo, centrando il bersaglio non solo per quanto riguarda una ben definita denuncia sociale (per la prima volta, in una pellicola, sento nominare un politico realmente esistente – in questo caso il famigerato Jacques LePen -, criticato apertamente dai personaggi) ma anche, e soprattutto, per una perfetta ricostruzione di mimiche, miti, mode e atteggiamenti di un intera generazione che vive la sua adolescenza inserita a fatica nella periferia più triste di una grande città europea.
Così anche gli avvenimenti peggiori, legati alla cronaca, come gli scontri e continui confronti con la polizia, diventano, per i protagonisti e tutti i loro coetanei e “vicini” costretti da una predeterminata e rigida realtà sociale a intraprendere una strada che spesso varca i confini della legalità (Hubert), sia essa percorsa per rivolta e paura (Vinz) o spirito d’emulazione (Said), un passo necessario per la crescita come per lo sviluppo di una sorta di coscienza, sia essa di stampo sociale, o, appunto, criminale. Un eco europea, insomma, che ben ricorda le rivolte californiane di quegli stessi anni (purtroppo è ormai familiare a tutti il caso di Rodney King) e che, con proporzioni e motivazioni differenti, riporta alla mente, soprattutto con le immagini di repertorio degli scontri con cui il film si apre, i tristi giorni del “nostro” G8, tenutosi a Genova nell’estate del 2001.
Detto questo, l’idea vincente di Kassovitz resta comunque quella di affidare lo scheletro della sua sceneggiatura non alla denuncia in se (che, probabilmente, lasciata in questo modo sarebbe suonata come pedante e, forse, ancora acerba) ma, tenendo la stessa come elemento di fondo, quasi fosse un arricchimento, o una scenografia – importante quanto la fotografia, o ogni altro aspetto tecnico di una pellicola - , a un terzetto di personaggi estremamente vivo e intenso, reale e per nulla perfetto come ogni ragazzo di quell’età sa essere, con tutto il fascino questo comporta.
Vinz, Hubert e Said sono capaci, nell’ora e quaranta scarsa del film, di trascinare, con ironia, stupore, violenza, ignoranza, responsabilità (ma non troppa) gli spettatori – soprattutto più adulti – attraverso un mondo che non si è mai conosciuto o che si è sempre troppo in fretta pronti a dimenticare, al contempo sancendo il loro successo presso l’audience più giovane.
Allo sbaraglio in un mondo di “grandi” che non li comprende, e che loro stessi faticano a capire, i tre amici si dannano, in quella che è una giornata come un'altra dominata da un evento esterno forse troppo grande, per trovare soprattutto loro stessi: la scoperta della pistola persa dal poliziotto da parte di Vinz, che giura vendetta nel caso Adbel dovesse morire, i modi spesso brutali e spocchiosi dei poliziotti stessi rispetto a ragazzi quasi costretti a vivere ai margini della legalità (emblematiche, in questo senso, le scene che riportano lo stupore di Said rispetto un poliziotto del centro che gli da del lei e, in seguito, un interrogatorio subito dallo stesso Said con Hubert), le famiglie dei ragazzi (i continui litigi di Vinz con la nonna, siano essi dovuti alla religione o alla spesa, la sudditanza di Said verso il fratello maggiore e i tentativi di rivalsa rispetto la sorella minore e, soprattutto, la freddezza laconica con cui la madre di Hubert liquida i propositi del figlio: “Devo andarmene via da questo posto, mamma…” E lei, in risposta: “Certo… Quando esci, cerca di passare dal fruttivendolo”.) sono segnali più che evidenti di un disagio che non riguarda solamente loro, ma anche tutte le figure di riferimento che, almeno teoricamente, i protagonisti – e, di riflesso, i loro coetanei – dovrebbero avere.
Così come, soltanto l’anno precedente, il “Clerks” di Kevin Smith aveva analizzato lo spaccato sociale dei giovani americani alle prese con le prime esperienze lavorative, Kassovitz, con un ironia che pare quasi rassegnazione e una sicuramente maggiore profondità, dovuta probabilmente anche a una rabbia che ha senz’altro radici più antiche, dipinge una “risposta” europea al cult del regista di “Dogma”. Quattro anni dopo sarà il turno di “American History X”, anch’esso profondamente legato ai giovani e a un periodo solo in apparenza tranquillo – in realtà controverso e tumultuoso – come il decennio passato. Curioso il fatto che tutte e tre le pellicole siano state girate in b/n (se si escludono le sequenze “nel presente” del film di T. Kaye), abbiano come protagonisti adolescenti o post-adolescenti e, oltre a uno scontro più o meno violento con la realtà attorno, debbano le loro fondamenta alla sottocultura musicale, cinematografica e artistica riferimento delle generazioni di nati tra il 1975 e il 1980, nonostante, dei tre registi, nessuno sia così giovane (Kaye è classe ’52, Smith ’58 e Kassovitz ’67).
L’importante non è la caduta, ma l’atterraggio…” Recita il detto, quasi fosse un monito anche per chi, da “adulto” o esterno – i poliziotti sono un esempio illuminante in tal senso, ma, a suo modo, lo stesso Asterix, che i ragazzi incontrano in centro, a Parigi – possa pensare di non essere un destinatario del messaggio della pellicola, mentre, almeno per quanto mi riguarda, credo si possa ricercare il segreto proprio lì, nei semi che ogni generazione pianta nel futuro: siamo tutti figli dei nostri padri, chiunque siano, e spesso le nostre angosce sono proiezioni dei loro errori.
Quale sarà l’atterraggio che prepareremo a chi verrà dopo di noi? Personalmente spero non il titolo di questo film, che pare, al contrario, essere tornato molto di moda in questi primi scampoli di millennio…
Chiudo segnalando, oltre i filmati di repertorio in apertura – dal taglio decisamente documentaristico – le citazioni di Taxy Driver e del Cacciatore, la splendida parentesi del bagno (a mio avviso la scena migliore del film), il succitato interrogatorio di Said e Hubert e, ovviamente, gli ultimi due minuti delle venti ore trascorse in compagnia dei tre ragazzi.
Attenzione, inoltre, alla scansione del tempo, arricchita da pause solo apparentemente “vuote” (ogni dialogo ha una grandissima importanza nell’economia della storia, ma attenti anche alla mucca di Vinz) e sequenze più ritmate e vibranti, sia per quanto riguarda l’aspetto sociale (il dialogo con i giornalisti TV) sia rispetto alla crescita dei ragazzi (il confronto tra Vinz e Hubert alla cattura del giovane skinhead, interpretato dallo stesso regista).

Continua

   
Gianmarco    
 
   
 
  Titolo:
L'ODIO

Sottotitoli:
Italiano per non udenti.

Formato:
16/9, 1.85:1.

Regia:
Mathieu Kassovitz.

Lingue:
Italiano 5.1, Francese 5.1.

Cast:
Vincent Cassel, Hubert Koundè, Said Taghmaoui.

Durata: 97''

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